
Questa è la testimonianza di ciò che hanno visto i parlamentari, i giornalisti e gli attivisti delle Ong al valico di Rafah, al confine tra Egitto e Striscia di Gaza. Due milioni di palestinesi senza cibo né acqua, sotto i continui bombardamenti israeliani e senza la possibilità di uscire da quella prigione a cielo aperto.
Tornare al valico di Rafah, dopo un anno dalla prima missione, è stato fondamentale
per rompere il silenzio attorno allo sterminio del popolo palestinese operato dal governo Netanyahu, per denunciare la complicità
dei leader europei e delle istituzioni comunitarie e dare un segnale di vicinanza e solidarietà a quel popolo che si sente
abbandonato al suo destino di morte e distruzione. La nostra è stata forse la delegazione internazionale più numerosa spintasi
al confine con Gaza dall'8 ottobre 2023 a oggi: sessanta persone tra parlamentari ed europarlamentari di Pd, M5S e Avs, giornalisti
e giornaliste, docenti di diritto internazionale, operatrici e operatori di Ong che hanno progetti a Gaza e in Palestina.
Di questo voglio ringraziare l'Aoi, l'Assopace Palestina e l'Arci che hanno organizzato le missioni.
Il nostro obiettivo era entrare a Gaza per testimoniare direttamente l'orrore. Abbiamo fatto tutte le richieste necessarie,
sollecitato il governo italiano a facilitare il nostro ingresso, ma il cancello è rimasto chiuso. Com'è chiuso dall'8 ottobre 2023
a giornalisti internazionali, osservatori, perfino al segretario generale dell'Onu, che Israele ha incredibilmente dichiarato "persona non gradita".
Storie tragiche. Il motivo è chiaro: Netanyahu non vuole testimoni. Non vuole che si
vedano il massacro, i bom bardamenti degli ospedali, delle scuole, delle case, delle tende degli sfollati. Non vuole che si sappia
come sta uccidendo e ferendo un'intera generazione di bambini palestinesi: cinquantamila dall'inizio di questa tragedia secondo i dati
dell'Unicef. Abbiamo però parlato con diverse persone palestinesi che nei mesi scorsi sono riuscite a fuggire dalla Striscia di Gaza
e a rifugiarsi in Egitto. I loro racconti sono strazianti. Ci hanno chiesto di riportare ovunque le loro storie, di farle conoscere e
noi ci siamo impegnati a farlo. Ci hanno parlato di amputazioni di arti eseguite su bambini senza anestesia, di giornate trascorse
in preda ai morsi della fame, alla perenne ricerca di cibo.
Ci hanno descritto la felicità (la felicità!) di trovare cibo per animali da dare ai propri figli. Ci hanno raccontato il dolore
provato di fronte a bambine e bambini che si spengono ora dopo ora e diventano piccoli scheletri senza più forze. Ci hanno descritto
cosa significa vivere con il costante rumore delle bombe che si avvicinano sempre di più, delle fughe nel cuore della notte senza
poter prendere niente e senza sapere dove andare, della paura paralizzante, della certezza che prima o poi toccherà a te.
Noi quelle bombe le abbiamo sentite. arrivati al valico di Rafah, dall'altra parte di quel cancello che separal' Egino da Gaza.
La terra tremava e sapevamo che ogni boato erano altri morti, altra distruzione.
La rabbia dentro. Porto con me la rabbia provata nei magazzini della Mezzaluna rossa egiziana, pieni zeppi di cibo, medicine, ambulanze, pannolini, generatori, bombole d'ossigeno e di ogni tipo di beni di prima necessită rimasti bloccati dalle autorită israeliane, ad Al-Arish, a pochi chilometri da Gaza, per ottanta giorni lasciando morire di stenti, malattie, sete le persone che vivono nella Striscia. Mentre scrivo queste righe, sappiamo che alcuni tir di aiuti sono finalmente entrati. Ma sono pochissimi. Prima del 7 ottobre, quindi prima della catastrofe, a Gaza entravano quotidianamente cinquecento tir di aiuti. Adesso ne sono entrati cinquecento nei nove giorni successivi al 19 maggio. Non sono soltanto insufficienti: sono uno schiaffo alla comunità internazionale e alla stessa popolazione di Gaza stremata dalla fame e dalle malattie, oltre che dai bombardamenti continui. Ma il punto non è solo quanti tir sono entrati: è anche il modo in cui vengono distribuiti gli aiuti.
La distribuzione degli aiuti. A lanciare l'allarme, mentre eravamo al Cairo, è stato il personale dell'Onu che si trova a Gaza e con il quale ci siamo collegati in video, Da parte loroc'è grande preoccupazione per la militarizzazione degli aiuti umanitari imposta da Israele e per la scelta di affidarne la gestione a una fondazione privata israelo-statunitense invece che alle agenzie delle Nazioni Unite. Una decisione inaccettabile perché i beneficiari sono identificati anche con tecniche biometriche e i dati sono raccolti dall'esercito israeliano, Inoltre, le persone stremate e indebolite dalle privazioni devono fare lunghi tragitti per raggiungere gli unici due otre punti di distribuzione. Uno scenario che non ha niente di umanitario e ha l'obiettivo di controllare i destinatari degli aiuti senza nessuna valutazione sulla loro vulnerabilità. Un precedente pericolosissimo per le conseguenze che potrebbe avere anche altrove.
Il piano di Netanyahu. Sappiamo bene che la decisione di Netanyahu di far entrare degli aiuti, peraltro altamente insufficienti, non è stata presa per questioni umanitarie o di coscienza. L'ha dichiarato lui stesso: «Non dobbiamo arrivare a una situazione di carestia, non sarebbe utile né dal punto di vista pratico, né da quello diplomatico -ha detto- Semplicemente, non ci sosterrebbero». In altri termini, altre migliaia di morti per fame e stenti sarebbero stati d'intralcio al suo piano criminale di invasione della Striscia e di pulizia etnica con la deportazione di oltre due milioni di palestinesi. Piano sostenuto da Donald Trump.
Al ritorno dalla nostra missione. la mozione unitaria Pd, M5S e Avs su Gaza è stata discussa in aula alla Camera. Una mozione con dodici punti per fermare Netanyahu. Tra le altre cose, abbiamo chiesto al governo di sospendere la vendita di armi a Israele, di mettere le sanzioni sul governo di Tel Aviv, di lavorare per la sospensione dell'accordo di associazione Ue-Israele, di chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas e di riconoscere lo Stato di Palestina. La maggioranza non solo ha bocciato la mozione, ma in Europa ha votato contro la revisione dell'accordo con Israele e ha approvato, in commissione difesa, l'acquisto di nuova tecnologia militare israeliana. Una vergogna assoluta. Davanti all'orrore che si sta consumando a Gaza, le opposizioni hanno deciso di continuare a denunciare per chiederne la fine. Per questo, le stesse forze che hanno firmato la mozione, hanno convocato la manifestazione di Roma del 7 giugno. Non possiamo permettere che il governo Meloni, con le sue omissioni, la sua inerzia e i suoi silenzi imponga all'Italia la vergogna di sostenere quello che i più insigni giuristi, anche israeliani, definiscono un disegno genocidario attuato da Netanyahu e dai suoi ministri. Continueremo a opporci a questa scellerata scelta in Parlamento, nelle piazze e ritornando di nuovo in Palestina insieme alle associazioni. Pretendiamo che l'Italia e l'Ue facciano il necessario per fermare lo sterminio, che aprano un tavolo di pace e lavorino al ritiro dei coloni dalla Cisgiordania e da Gerusalemme est, presupposto imprescindibile alla soluzione dei due Stati. Soltanto così Israele e la Palestina potranno convivere in pace e sicurezza.