Piazze. Piazze piene di giovani. Piazze partecipate come da tempo non si vedeva; che si sono ribellate a una narrazione a senso unico, che per qualcuno sono diventate il collettore di un dissenso e di un malessere profondi. Piazze soprattutto che avevano, e forse avranno, l'obiettivo di gridare al mondo: «Noi ci siamo. Noi siamo qui, a sostegno della Flotilla, a sostegno di chi ha messo in gioco sé stesso, da semplice persona, per dare un senso alla parola umanità. Siamo qui per rifiutare la guerra, l'orroге dell'idea che si possa annientare un popolo, affamarlo, cancellarlo, senza che nessuno faccia niente. Siamo qui contro l'inerzia dei governi, contro l'indifferenza e il senso di impotenza che diventano responsabilità e forse anche complicità».
Chi fa sindacato, chi condivide la necessità e l'urgenza che le persone - lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati - facciano sentire la loro voce contro tutte le ingiustizie, in queste settimane ha visto svilupparsi una reazione davvero bella e importante. Che non ha una guida e non si ritrova sempre sotto le forme istituzionalizzate di mobilitazione, Ma non è compito nostro, degli adulti, quello di mettere etichette. Forse questi ragazzi li dobbiamo solo ascoltare, ringraziare, accompagnare. Credo abbia ragione Alessandro Baricco, quando dice che c'è stato un giorno in cui Gaza ha smesso di essere il nome di una città, una situazione geopolitica, il simbolo di un conflitto decennale fra Hamas e Israele, per diventare la definizione di un limite. Lottare per Gaza, contro il genocidio, contro l'orrore è diventato il modo in cui una certa parte di umanità ha preso le distanze da un'altra parte, rivendicando il diritto a scrivere una storia diversa.
Siamo di fronte a un primo accordo, forse fragile e precario, ma che almeno prevede la fine dei bombardamenti. Non è stato inutile manifestare come ha detto la premier Meloni indicando in Trump il fautore della pace; non sono stati inutili le scelte di quei paesi che hanno proposto sanzioni ed embargo a Israele e che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. E non sarà inutile che quel movimento continui a essere vigile, attento, mobilitato affinché ciò che oggi è un importante passo diventi il diritto di un popolo ad autodeterminarsi, con la soluzione politica dei due popoli e due Stati. Forse se finirà l'occupazione, se la diplomazia sembra tornata a giocare il suo ruolo è anche un po' merito di chi ha pensato che la propria voce potesse contare, specie quando è insieme a quelle di tantissimi altri. Su questa strada possiamo provare a camminare insieme. Anche fra generazioni diverse.