SPI-CGIL Lega 12 - Nichelino Vinovo Candiolo

      

 

L’Italia è libera
Ottant’anni dal 25 aprile 1945

Sandro pertini annuncia che l'Italia è libera il 25 aprile del 1945
Una buona parte del paese è già stata liberata da diversi mesi. Al Nord, la presenza dei tedeschi, spalleggiati dai repubblichini di Salò, costringe ancora a combattimenti violenti. Alle ore 8 del 25 aprile il Cnlai proclama l’insurrezione, assumendo tutti i poteri civili e militari. Da lì a tre giorni, Benito Mussolini sarà catturato e fucilato a Giulino di Mezzegra.

La grande svolta. Anche quando sono frutto di processi più o meno lunghi, le grandi svolte della storia vivono nella memoria dei posteri collegate a una data simbolica. Accade con il 14 luglio 1789 e la presa della Bastiglia eretti a emblema della Rivoluzione francese e accade con il 25 aprile 1945 celebrato come Festa della Liberazione. In realtà un bel pezzo d’Italia è già libero da mesi: Napoli è la prima città d’Europa a cacciare i tedeschi, il 1° ottobre 1943, al termine delle famose Quattro giornate; Roma accoglie le truppe alleate il 4 giugno 1944 e l’11 agosto gli uomini della brigata garibaldina “Vittorio Sinigaglia” entrano a Firenze insorta. In ampie zone del Nord si continua invece a combattere per mesi, fino alla resa incondizionata delle truppe tedesche il 2 maggio 1945.

La ripresa primaverile. All’inizio di quell’anno la crisi del movimento partigiano, seguita al blocco dell’offensiva alleata lungo la Linea gotica, può dirsi superata. A gennaio, il generale americano Mark Clark che ha assunto il comando delle forze alleate in Italia al posto dell’inglese Harold Alexander, invia un radiomessaggio “ai partigiani e ai patrioti” promettendo il massimo appoggio «al fine comune di scacciare l’oppressore dal suolo italiano». E mantiene la parola: da febbraio gli aviolanci alleati riforniscono i Volontari della libertà di armi, esplosivi, viveri e indumenti. Comincia a prendere corpo la “ripresa primaverile” che in poco tempo vede le formazioni partigiane raddoppiare o addirittura triplicare gli effettivi. A marzo l’esercito della Resistenza schiera circa 130.000 uomini, che salgono a 250-300.000 nei giorni dell’insurrezione. Il 5 aprile gli alleati vanno all’attacco nel settore tirrenico, il 9 in quello appenninico e adriatico con 800 bombardieri pesanti e 1.000 cacciabombardieri che scatenano l’inferno sulle linee tedesche. Il 10, dopo aver liberato Massa e Carrara, gli americani attraversano il Senio, sfondano il fronte tedesco ad Argenta e dilagano verso il Po. Si profila una resa concordata della Wehrmacht ai comandi alleati, con i quali sono in corso trattative segrete in Svizzera. È un’ipotesi che preoccupa il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai), consapevole dell’importanza politica delle insurrezioni popolari. Per non farsi sorprendere dagli eventi, i capi della Resistenza lanciano l’ultimatum “arrendersi o perire” ai repubblichini di Salò e impartiscono disposizioni affinché siano le forze partigiane a liberare le città. E così avviene.

L’Emilia liberata. Quando il 21 aprile le colonne alleate raggiungono Bologna, la trovano già presidiata dagli uomini delle brigate Garibaldi, Matteotti e Giustizia e Libertà. Il giorno successivo è la volta di Modena con l’assalto alla guarnigione nazista di Rivarolo che viene fatta prigioniera. Le formazioni partigiane, attestate lungo le valli del Secchia e dell’Enza, avanzano e il 23 aprile liberano Reggio Emilia. I soldati del Reich battono in ritirata lungo la via Emilia, ma sono costretti a fermarsi perché il ponte sull’Enza è stato fatto saltare. Cercano allora di aprirsi un varco verso Fornovo e Collecchio, ma dopo accaniti combattimenti con i partigiani parmensi, appoggiati dall’aviazione e dai reparti corazzati alleati, devono arrendersi.

Il capolavoro di Genova. Il 24 aprile i patrioti liguri liberano La Spezia precedendo la quinta armata americana. Lo stesso giorno avviene l’insurrezione di Genova, considerata un vero capolavoro militare: è l’unico caso in Europa che vede un intero contingente militare tedesco arrendersi alle forze della Resistenza senza alcun intervento alleato. Il comandante, generale Gunther Meinhold, si consegna nelle mani di Remo Scappini, l’operaio comunista presidente del Comitato di liberazione. Il porto, minato dai tedeschi, non salterà, a conferma di quanta attenzione pongano i piani insurrezionali alla salvaguardia di impianti industriali, centrali elettriche e infrastrutture.

L’ora della verità. E siamo a mercoledì 25 aprile. Alle 8 del mattino il Clnai, riunito a Milano presso il collegio dei salesiani di via Copernico, proclama l’insurrezione ed emana un decreto con il quale assume tutti i poteri civili e militari. Un altro decreto stabilisce che i ministri e i gerarchi del fascismo colpevoli vengano puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo. Dopo l’incontro infruttuoso con i capi della Resistenza, che gli hanno intimato la resa senza condizioni, Benito Mussolini è in fuga verso la Svizzera; intercettato dai partigiani a Dongo, a bordo di un camion tedesco travestito da soldato del Reich, viene fucilato il 28 a Giulino di Mezzegra.

Gli ultimi fuochi. Intanto, tra il 26 e il 29 aprile, quasi tutte le città del Nord, da Aosta a Venezia, vengono liberate. Solo nel Veneto, zona di transito dei tedeschi in ritirata, i combattimenti si protraggono ancora per qualche giorno. Il 30 insorge Trieste, ma l’ingresso in città dei reparti jugoslavi apre un nuovo tragico capitolo. Il 1° maggio torna la festa del lavoro soppressa dal fascismo ed è l’occasione per un tributo alle formazioni partigiane che sfilano tra ali di folla entusiasta con il pensiero ai caduti, a chi non è riuscito a vedere l’alba della libertà.

L’articolo, a firma di Giuseppe Sircana, è stato pubblicato nel numero di aprile 2025 di LiberEtà.